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Body positivity: il movimento che sta ridefinendo il concetto di ‘normalità’

Si potrebbe anche pensare che il movimento body positive ha fatto il suo ingresso sulle scene dal nulla: un movimento di protesta spontaneo composto da persone con molta fiducia in loro stesse che postano su Instagram messaggi del tipo “amati per come sei”. Tuttavia, nonostante il movimento si manifesti sul piano della singola persona, le sue radici vanno ben più in profondità.

«Il movimento è nato per quei corpi emarginati, senza alcun privilegio», spiega Stephanie Yeboah - style blogger oversize e scrittrice freelance. «Noi, in qualità di persone con un corpo che non viene considerato bello - e senza privilegi - abbiamo bisogno di quello spazio sicuro in cui festeggiare noi e ciò che ci rende così bell*».

È un movimento moderno, sia nell’approccio che nell’organizzazione. Il termine body positive nasce circa tra il 2010 e il 2011 grazie per merito di donne oversize, il più delle volte di colore, che postavano dei contenuti sui social media con l’hashtag #BodyPositivity. Creato per promuovere un messaggio positivo dedicato a chi ha un corpo che non rientra nei canoni pre-definiti della ‘normalità’, è presto riuscito ad abbracciare a livello globale le reazioni delle persone che sono contro i restrittivi standard di bellezza imposti dai media. Ha segnato la decisione collettiva di autoproclamarsi, di dire «Io esisto». Unirsi al movimento body positive era - ed è tuttora - un gesto radicale di amore e cura per se stessi.

Utilizzando i social media, che di per sé possono essere focolai di body negativity, gli attivisti-fondatori del movimento body positive hanno stravolto il discorso a partire da una prospettiva personale e accessibile.

«Viene fornito uno spazio più democratico in cui quasi tutt* hanno la possibilità di creare un account e fondare un movimento oppure decidere di parte. Le persone emarginate possono avere così una maggiore visibilità», dice Eleanor Higgins di AnyBody, ramo di un’organizzazione mondiale che ha l’obiettivo di incentivare la rappresentazione delle donne in ambito mediatico, a partire da un’ottica inclusiva e di incontro.

Fatto ancora più importante, la piattaforma accessibile ha spalancato le porte anche ad altri: persone di colore, persone con disabilità, persone sfigurate, persone trans; tutte le persone che non venivano rappresentate sulle copertine delle riviste, nei film, in TV o sui manifesti potevano così avere visibilità.

Ma perché la visibilità è così importante? Quando un corpo differisce da quell’unico ideale che vuole rappresentarci, quel corpo viene in qualche modo considerato diverso. Se un aspetto ben preciso viene classificato come bello, non è di certo difficile arrivare alla conclusione che ogni altro - necessariamente - non lo è.

Standard di bellezza tanto prescrittivi vengono interiorizzati molto in fretta e la poca fiducia nel proprio aspetto fisico può influenzare la nostra salute mentale in modo profondo. Così come ha evidenziato Liam Preston, alla guida della campagna BeReal di YMCA: «Sappiamo con certezza che se una persona non ha fiducia nel proprio corpo, è meno probabile che vada a fare colloqui di lavoro, è meno probabile che voglia sposarsi, è meno probabile che voglia andare in vacanza. È noto che il 52% dei giovani si preoccupa di come appare e il 30% si metterà in disparte, si isolerà, evitando di svolgere determinate attività».

Yeboah racconta la sua storia, confermando i preoccupanti effetti collaterali dello stereotipo: lui ha scelto di non presentare la domanda di ammissione a una scuola di moda perché non si sentiva all’altezza: «Volevo presentare la domanda alla Saint Martin, ma l’ho totalmente accantonata. Non mi sentivo all’altezza perché vedevo il tipo di persona che veniva accettata. Ero nella fase “Sai che c’è? Non sento di poter far parte di questo ambiente per il mio aspetto fisico”; ecco perché non ho completato la domanda. Ho lasciato lì e, al suo posto, mi sono iscritto a un noiosissimo corso di laurea. Non aver inoltrato quella domanda è stato uno dei miei più grandi rimpianti».

Raccolti gli effetti della poca fiducia nel proprio corpo e di un basso livello di autostima, ci sono persone che stanno lavorando sodo per cambiare il panorama e costruire una società in cui tutt* possano inserirsi. La campagna BeReal, per esempio, è stata lanciata nel 2014 in risposta al report Reflections of Body Image del gruppo parlamentare interpartitico. Basandosi sul lavoro che gli influencer body positive hanno svolto finora, ma operando in una veste più ufficiale, BeReal esiste proprio per cambiare le attitudini nei confronti dell’immagine del corpo.

Il loro ‘Body Image Pledge’ (letteralmente: “impegno preso nei confronti dell’immagine del corpo”), lanciato nel 2016, aveva l’obiettivo di lavorare coi vari brand per diversificare i messaggi pubblicitari. «Volevamo vedere modelli con corpi diversi per forma e dimensione; corpi di persone di etnie diverse, con disabilità, con malformazioni. Volevamo che fossero rappresentate tutte le differenze presenti nella popolazione», aggiunge Preston.

In concomitanza con la stretta dei media su ciò che viene considerato «bello», BeReal lavora anche a stretto contatto con le scuole, facendo in modo che la fiducia nel proprio corpo sia elemento-chiave del curriculum.

Sam Rowswell usa il suo blog e il suo canale Instagram come piattaforme da cui lanciare il messaggio di body positivity. Ha imparato l’importanza di infondere quel senso di fiducia quando è diventata mamma. «Sono diventata genitore single a 17 anni e avevo anche una sorella da crescere. Mentre cresceva, diceva spesso “oh, mi sento davvero grassa”... anch’io dicevo la stessa cosa di me stessa. Ero la prima a usare questo linguaggio negativo davanti ai miei figli; ma più aprivo la mente nei confronti di me stessa, più realizzavo [l’effetto] negativo che il mio linguaggio poteva avere sulle altre persone».

Il linguaggio negativo e il body shaming resta la linfa del movimento body positive. A 11 anni, la coach di body confidence Michelle Elman aveva subito ben 13 interventi che le hanno lasciato numerose cicatrici sulla pancia. Michelle era una sopravvissuta; il suo corpo aveva lottato contro tutti gli eventi e, sì, lo odiava profondamente.

«Odiavo il mio corpo perché quando avevo dieci anni, e ho indossato per la prima volta il bikini, le persone continuavano a fissarmi la cicatrici - le cicatrici che ha lasciato la chirurgia - con stupore, pietà e orrore», ha detto al pubblico durante il suo seguitissimo TedX talk. «Odiavo il mio corpo perché mi rendeva diversa».

Il 94% delle ragazze adolescenti e il 64% dei ragazzi adolescenti sono stati vittima di body shaming e la Elman, ispirandosi alla sua esperienza personale, vuole combattere contro questo genere di umiliazioni. La sua campagna #ScarredNotScared promuove l’amore e l’accettazione di sé. Ed è con questa iniziativa che vuole liberarci da standard irrealistici e ridefinire il modo in cui facciamo coincidere i nostri valori con l’aspetto fisico.

Elman, Rowswell and Yeboah lavorano a fianco a schiere di attivisti body positive e influencer che stanno lottando per ridefinire il significato della parola bellezza e mettere alla prova il concetto che abbiamo di ‘normalità’. Jessamyn Stanley, GabiFresh, Bethany Rutter, Harnaam Kaur, Tess Holliday e molti altri hanno alzato la voce per portare il concetto di body positivity al grande pubblico. E, a quanto pare, sta funzionando.

Women’s Health ha abolito l’espressione bikini body (“corpo da bikini”) dalle sue copertine, le parole ‘grasso’ e ‘grassa’ sono state reclamate come aggettivi, come termini che descrivono. Inoltre i brand stanno gradualmente abbracciando gruppi di persone sempre più diversificati per scatti fotografici, nelle pubblicità e sui cartelloni.

La conversazione sul nostro corpo e il modo in cui appariamo sta cambiando e ora sia la gentilezza che l’accettazione occupano uno spazio sempre più rilevante. La body positivity fa bene proprio a tutt*. Ci insegna a valorizzare i nostri corpi fornendoci un quadro più ampio di ciò che significa essere bell*.

È molto importante ricordare la fondazione di questo movimento: quando il movimento body positive ha iniziato a prendere piede, il suo focus si è spostato. La campagna I Weigh campaign di Jameela Jamil, per esempio, ha catturato l’attenzione di tutto il pubblico dando valore ai nostri talenti, alle nostre relazioni e alla nostra personalità, indipendentemente dal nostro peso. Nella sua missione è certamente ammirevole, ma la stessa Jamil e il profilo Instagram di I Weigh, rappresentando prevalentemente donne magre e bianche, sono arrivati a incarnare il concetto di body positivity per le masse.

«Ci stiamo muovendo nella giusta direzione con il movimento, che sta sviluppandosi in molti modi, ne parlano i media e i principali mezzi di informazione. Questo è bellissimo. Tuttavia, c’è anche il rischio che venga insabbiato», dice Higgins.

«Quello che stiamo notando è che per essere visti come body positive campaigner o per comparire nei vari brand, devi comunque avere un certo look», aggiunge Yeboah.

E certo, nonostante a volte vengano esclusi e le numerose discussioni, i fondatori e i portavoce della body positivity continuano a promuovere il messaggio di uno spazio inclusivo. Il loro duro lavoro spinge più in là noi, come membri della società, guidandoci verso un percorso di vero amore per noi stess* e accettazione del nostro corpo.

L’importanza di essere felici, di farci vedere e mostrare i nostri valori continua tuttora a permeare ogni aspetto del movimento body positive. Se non ti piace il tuo corpo, ok, ma c’è un luogo in cui puoi imparare come si fa, nonostante viviamo in una società che spesso non vuole riconoscerti. Spostando i parametri di di ciò che è bello e di ciò che non lo è - e scovando uno spazio in cui celebrare la bellezza in ogni sua forma - il movimento body positive ci ha regalato la diversità di cui abbiamo bisogno e l’amore per noi stess* che meritiamo.

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